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Sezione Sanità Confindustria Reggio Calabria, nota del presidente Nino Cuzzucoli

“La situazione drammatica che ha investito l’Italia, inevitabilmente trascina con sé anche la consapevolezza di una realtà che dovrebbe far riflettere a lungo su come, negli anni, sono state gestire le politiche economiche sociali e sanitarie del nostro Paese ed in particolare la nostra Regione.

Come Presidente della Sezione Sanità Territoriale di Confindustria per la provincia di Reggio Calabria, ma soprattutto come imprenditore e produttore del settore biomedicale, non posso non sentirmi mortificato dalla difficoltà che tutte le aziende del settore incontrano, in questo momento, nel far fronte alle e numerose richieste di aiuto, per la carenza di ausili e presidi medici, da parte degli operatori sanitari delle varie strutture impegnati in questa fase emergenziale.

So bene che non è tempo di critiche e ancor più di polemiche, perché adesso c’è bisogno di unire gli sforzi per uscire il prima possibile da questa angosciosa situazione, ma è pur vero che non si può restare inermi a leggere direttive o proposte lanciate sul Web o sui media sulla necessità/opportunità di attivare con urgenza conversioni di produzione a favore di mascherine protettive, camici, calzari, occhiali protettivi, ventilatori ecc… a fronte di fiumi di contributi agevolati o addirittura a fondo perduto da parte dello stato, o addirittura di riaprire lo stabilimento di Torre lupo (ex ApsiaMed), lasciato morire circa 30 anni addietro.

Intanto bisognerebbe chiedersi come mai sul nostro territorio regionale tutti i fornitori di beni e servizi del settore sanitario (circa un centinaio di aziende) si sono ritrovate con i propri magazzini vuoti e dunque senza poter far fronte, quantomeno, alle prime necessità presentate.

Non possiamo certo dimenticare che a fronte di una scellerata scelta del Governo italiano 2019, e per effetto di legge si estromettevano di fatto tutte quelle aziende calabresi dalle forniture di beni e servizi al servizio sanitario nazionale per appalti sopra soglia, costringendo le stesse, precauzionalmente, ad un ridimensionamento delle attività e di conseguenza ad un drastico ridimensionamento nell’approvvigionamento di scorte di materiale sanitario nei propri depositi. Oggi lo Stato ci chiede di produrre mascherine protettive e altri DPI per l’emergenza COVID19 perché i soldi ci sono!

Ma questi manager e tecnici delegati dal governo hanno vagamente l’idea di cosa significa convertire una produzione in ambito medicale? Hanno vagamente contezza di quanti mesi siano necessari per mettere a punto una macchina produttiva, che sia nuova o da convertire?

E poi ancora, passata questa emergenza, speriamo presto, queste aziende a chi potrebbero dispensare tali dispositivi? Vorrei far notare che l’Est asiatico è diventato il più grande produttore di presidi sanitari a bassa tecnologia, con migliaia di aziende attive, mentre le condizioni di operatività delle imprese italiane (costo dl lavoro, burocrazia, tassazione ecc..) non potrebbero in alcun modo ottenere una pur minima chance competitiva di mercato. Questo è il motivo per il quale la quasi totalità dei produttori italiani di dispositivi medici a basso contenuto tecnologico ne hanno dismesso completamente la produzione o, in qualche caso, delocalizzato in quei paesi.

In questo momento emergenziale, quello che ci preme di più è attivare i canali più veloci con i paesi asiatici per assicurare gli approvvigionamenti al servizio sanitario regionale e ridurre il più possibile i tempi di sdoganamento. Questo è l’impegno che gli imprenditori calabresi si sono dati, con responsabilità, senso civico e abnegazione mantenendo aperte le loro aziende e lavorando senza sosta per assicurare quanto più possibile il servizio sul territorio.

Come scrivevo in premessa, è il momento del fare, ma sono certo che una volta finito l’incubo che tutti stiamo vivendo, si possa aprire un tavolo di confronto con le istituzioni governative per discutere di tutte quelle problematiche che purtroppo, per troppo tempo, si sono scontrati con il muro dell’indifferenza.

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