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Sanità, la ghigliottina del Payback: a rischio il comparto dei dispositivi medici e la tenuta dei servizi ospedalieri

Facciamo che un signore qualunque, ogni anno dal 2015 al 2018, entri in supermercato comprando tutto il cibo necessario al suo fabbisogno familiare.  Nel 2022, trovandosi in ristrettezze economiche, realizza che in quel quadriennio la sua famiglia aveva speso complessivamente più di quanto il suo budget gli avrebbe permesso. Allora con un guizzo d’ingegno trova la soluzione per ripianare i suoi conti: ritorna al supermercato e pretende, prepotentemente, di avere indietro una cospicua percentuale dei soldi che egli aveva speso in quei quattro anni.

Ora, in un paese normale tutto ciò si chiamerebbe “pizzo” configurabile nel reato di “estorsione”.

In Italia, dichiara il Presidente della Sezione Sanità di Unindustria Calabria, Alfredo Citrigno, invece si chiama “Payback sui dispositivi medici”, dove il Supermercato sono le aziende del relativo comparto mentre il Signore rappresenta lo Stato. È quanto fa emergere, e di questo lo ringrazio, l’imprenditore Antonino Cozzupoli, autorevole membro della squadra nella Sezione Sanità di Unindustria Calabria.

Giusto per chiarezza occorre dire che il meccanismo del Payback era stato introdotto nel 2015 dal governo Renzi, passato di mano al governo Gentiloni poi relegato in un cassetto e mai applicato, evidentemente per la vergogna e l’imbarazzo che tale misura aveva generato in quella parte politica. A sorpresa, nel decreto Aiuti Bis del Governo Draghi e con un DM a firma dell’ex Ministro Speranza, ricompare e viene reso operativo con la Legge 21 Settembre 2022 il cd Payback sui dispositivi medici subito passato in eredità, sottoforma di tesoretto, al nuovo Governo Meloni oggi costretto ad inserirlo, per motivi di opportunità contabile, nella Legge di Bilancio.

Si tratta, continua il Presidente Citrigno, di 2,1 Miliardi di Euro che ogni fornitore di dispositivi medici (dalle siringhe agli Stent coronarici, dai pannoloni alle suture chirurgiche ecc…), in quota proporzionale al proprio fatturato maturato dal 2015 al 2018, è chiamata a restituire, entro il prossimo 15 di Gennaio, alla/e Regione/i nella quale il fornitore stesso ha effettuato le forniture e laddove i conti generali della relativa spesa sanitaria Regionale dovessero risultare in rosso.

Naturalmente tale meccanismo a valere anche per gli anni a seguire.

Tale situazione riguarda la maggioranza delle Regioni Italiane e non risparmia purtroppo neanche la nostra Regione Calabria, anche se lo scostamento riguarderebbe al momento soltanto l’anno 2018.

E’ bene però sottolineare che nella nostra Regione così come nel resto del Paese, l’approvvigionamento dei dispositivi medici avviene attraverso Gare Pubbliche europee per le quali quantitativi occorrenti e prezzi di acquisto a base d’asta vengono prefissati ad insindacabile giudizio dagli Enti Pubblici preposti. In questo contesto l’azienda partecipante ad una Gara ASL dovrà offrire necessariamente un prezzo ribassato rispetto alla base d’asta posta dall’Ente, comprimendo la propria marginalità e, in caso di aggiudicazione, dovrà obbligatoriamente garantire le forniture nelle quantità richieste, pena l’esclusione dall’appalto, pesanti penali ed il rischio di interdizione da parte dell’ANAC nel caso di mancata o ritardata fornitura.

Al completamento delle forniture contrattualizzate, pur se perfettamente in linea con il reale fabbisogno ospedaliero dell’ASL appaltante, se alla fine dell’anno  la spesa sanitaria Regionale dovesse malaguratamente chiudersi in negativo a causa dello sforamento dei tetti prefissati ,  ecco che l’impresa aggiudicataria sarà chiamata a ripianare le maggiori spese sostenute dalla  Regione mediante la restituzione di una cospicua parte del proprio fatturato lordo effettuato nell’anno in questione.

Ebbene è proprio così! Non una parte del proprio utile, che già sarebbe vergognoso, ma del proprio fatturato al lordo delle spese e delle tasse già versate. Tutto ciò come se la responsabilità della malagestio dovesse ricadere su chi ha eseguito e onorato gli impegni e le prescrizioni di un contratto di appalto e non già su coloro i quali avrebbero dovuto garantire la buona e oculata gestione dei conti pubblici evitando sforamenti milionari (cioè le Regioni).

Fino ad oggi a nulla sono valse le comunicazioni e le richieste di ascolto operate dall’industria   dei dispositivi medici e da ogni associazione di categoria del comparto dispositivi medici, né tantomeno l’appello di circa 200 Aziende che si sono recate a Roma per chiedere audizione senza aver avuto alcun riscontro da parte del Governo. Ed Intanto una pesante pioggia di ricorsi volti ad impugnare il Decreto Ministeriale ed i provvedimenti esecutivi emessi da alcune Regioni, stanno intasando i vari TAR Regionali.

Il settore dei dispositivi medici in Italia è composto da oltre 4.000 Aziende tra produttori e distributori e impiega circa 94.000 persone. Nella sola Calabria sono presenti circa 120 Aziende con oltre 1000 addetti.

Lo scenario che emerge da tale situazione è davvero drammatico se solo si pensa che il 94% di queste aziende è rappresentato da piccole e medie imprese che in moltissima parte saranno costrette a chiudere o a ridimensionarsi, con la conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro. Altre aziende ancora non saranno in grado di garantire le forniture e pertanto l’attuazione del Payback comporterà inevitabilmente una crisi importante sia a livello economico che sanitario tanto da mettere a rischio la tenuta dei servizi Ospedalieri Pubblici che da Gennaio potranno trovarsi nella condizione di non riuscire a reperire i dispositivi medici necessari a garantire la salute dei cittadini.

Persino alcune multinazionali con sede nel nostro Paese hanno di fatto sospeso i piani di investimento in Italia sull’innovazione dei dispositivi e sullo sviluppo di nuove tecnologie.

Noi, conclude il Presidente Citrigno, come Sezione Sanità di Unindustria Calabria chiediamo ai nostri rappresentanti Politici Regionali di impegnarsi contro questa irragionevole e raccapricciante Legge sul Payback e portare nelle aule del parlamento e delle commissioni, l’indignazione delle aziende del comparto che oggi puntano il dito contro le vessazioni di questo Stato e contro l’incapacità politica di rendere migliore e più giusto il nostro Paese.

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